Altre procedure: amministrazione straordinaria; lavoratore; interesse; diritto di credito risarcitorio; giudice lavoro; cognizione; domande di impugnazione licenziamento; reintegrazione posto lavoro; indennità risarcitoria.

Corte di Cassazione, sez. lav., 30 maggio 2018, n. 16443, (dep. 21 giugno 2018). Presidente: PATTI. Relatore: LORITO.

Qualora risulti, come nel caso di specie, l’interesse del lavoratore all’accertamento del diritto di credito risarcitorio in via non meramente strumentale alla partecipazione al concorso nella procedura di amministrazione straordinaria, bensì effettivo alla tutela della propria posizione all’interno dell’impresa, spetta al giudice del lavoro la cognizione delle domande di impugnazione del licenziamento, di reintegrazione nel posto di lavoro e di accertamento, nel vigore del testo dell’art. 18 I. 300/1970 come novellato dall’art. 1, co. 42, L. 92/2012, della misura dell’indennità risarcitoria dovutagli”. (Principio di diritto)

Nell’ipotesi di impugnazione di licenziamento illegittimo l’ambito cognitorio del giudice del lavoro e del giudice fallimentare è caratterizzato dalla chiara diversità di causa petendi e di petitum tra le domande riguardanti il rapporto, di spettanza del primo, e di ammissione al passivo, di spettanza del secondo atteso, in relazione all’accertamento della illegittimità del licenziamento, l’interesse del lavoratore alla tutela della propria posizione all’interno dell’impresa, sia in funzione di una possibile ripresa dell’attività che per la coesistenza di diritti non patrimoniali e previdenziali, estranei alla realizzazione della par condicio laddove, nella seconda, assume rilievo esclusivamente la strumentalità dell’accertamento dei diritti patrimoniali alla partecipazione al concorso sul patrimonio del fallito. Appare tuttavia coerente ritenere estesa la cognizione del giudice del lavoro, sia in riferimento all’impugnazione del licenziamento disciplinare ed alla correlata domanda di condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro senza escludere la cognizione della domanda risarcitoria, siccome conseguenziale delle prime anche con riferimento al nuovo regime di tutele introdotte dall’art.1, comma 42, della legge n.92 del 2012 (c.d. legge Fornero), che ha novellato l’art.18 della legge n.300 del 1970. Le varie ipotesi considerate dalla mutata disciplina normativa si sostanziano, partitamente, nella nullità del licenziamento, in quanto discriminatoria a norma dell’art.3 della legge n.108 del 1990, o perché intimato in concomitanza con il matrimonio, ai sensi dell’art.35 del d.lgs. n.198 del 2006 o, ancora, in violazione dei divieti di cui all’art.54, I, VI, VII e IX comma del d.lgs.n.151 del 2002, ovvero perché riconducibile ad altri casi di nullità previste dalla legge in quanto determinato da un motivo illecito, ai sensi dell’art.1345 cod. civ., o per inefficacia per essere stato intimato in assenza di atto scritto. Il recesso può essere poi annullato, in assenza degli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa, per insussistenza del fatto contestato, o perché rientrante tra le condotte punibili con la sanzione conservativa, sulla base delle previsioni del contratto collettivo, ovvero del codice disciplinare (art.18, quarto comma, legge n.300 del 1970). Il recesso può, ancora, essere dichiarato illegittimo quando non ricorrano gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa (art.18, quinto comma) o, ancora, in quanto inefficace, per assenza della motivazione, così come stabilito dall’art.2 secondo comma della legge n.604 del 1966, ovvero della procedura prevista dall’art.7 della legge n.300 del 1970 o dall’art.7 della legge n.604 del 1966 (art.18, sesto comma). In tutti i casi in cui debba essere, in conseguenza della dichiarata nullità o del pronunciato annullamento, individuata la sanzione applicabile, reintegratoria, accompagnata da quella risarcitoria diversamente modulata, ovvero pari ad una indennità corrispondente alla retribuzione globale di fatto, maturata dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegrazione, detratto l’aliunde perceptum, ma non inferiore a cinque mensilità, ovvero non superiore a dodici o, ancora, non inferiore a dodici né superiore a ventiquattro, permette di ritenere essendo l’indennità risarcitoria predeterminabile con certezza, secondo una applicazione selettiva, in ragione della accertata nullità, ovvero una volta dichiarata l’illegittimità del licenziamento, derivando la misura dall’anzianità del dipendente, dall’organico, dalle dimensioni dell’attività economica, dal comportamento e dalle condizioni delle parti, ovvero dalla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, nell’ipotesi di licenziamento comunicato prima dell’apertura del concorso, ovvero dall’organo della procedura successivamente, deve affermarsi che anche l’accertamento dell’entità della indennità risarcitoria competa al giudice del lavoro cui resta inibita, esclusivamente, la pronuncia di condanna attesa la necessaria insinuazione allo stato passivo, in ragione della esclusiva cognizione del giudice del concorso che può essere proposta ai fini di ottenere il riconoscimento con riserva, quale credito condizionale, a norma dell’art.55, terzo comma l.f., all’esito del giudizio introdotto dinanzi al giudice del lavoro. (Caiafa) (Riproduzione riservata)