Fallimento: revoca sentenza fallimento; potere discrezionale; sospensione attività liquidazione; art. 108 L.F.; sussistenza di gravi e giustificati motivi.

Tribunale di Trento, 10 luglio 2017. Pres. Rel.: ATTANASIO.

In ipotesi di sospensione dell’attività liquidatoria a seguito della revoca della sentenza di fallimento si deve dare atto “dell’esistenza di un potere discrezionale di sospensione dell’attività di liquidazione in capo agli organi della procedura, potere che trova oggi un supporto normativo nel disposto dell’art. 108 L.F., il quale, a differenza che in passato, prevede che il giudice delegato possa non solo impedire il perfezionamento della vendita allorquando il prezzo sia notevolmente inferiore a quello giusto, ma anche sospendere le “operazioni di vendita, qualora ricorrano gravi e giustificati motivi”. Di conseguenza, l’eventuale sentenza di revoca non ha forza sua propria per imporsi agli organi della procedura, orientandoli necessariamente verso la sospensione dell’attività di liquidazione, visto che una tesi di tal fatta finisce “col riconoscere alla sentenza di revoca un’efficacia esecutiva che, invece, si è visto, l’ordinamento le nega, mentre per altro verso essa renderebbe vincolata una decisione di cui si predica pacificamente la discrezionalità”.D’altra parte detta discrezionalità, se non vuole essere mero arbitrio, deve muovere dall’identificazione dei criteri che ne governano l’esercizio, e passare poi attraverso l’esplicitazione di quei criteri e della loro concreta applicazione (cfr., analogamente, in tema di sospensione dell’attività di liquidazione ex art. 125 l. fall., Cass., 4760/2002). Nella specie, il “parametro di legalità” è oggi positivamente fornito dall’art. 19, co. I, L.F., atteso che, come detto in precedenza, l’interesse del debitore a “impedire la dispersione del proprio patrimonio in una situazione di incertezza circa l’esito finale del giudizio di impugnazione della sentenza di fallimento” (così Cass., 13100/2013) viene in considerazione anche dopo la decisione sul reclamo. La tutela di questo interesse è però subordinata ad un vaglio giudiziale che ha riguardo, da un lato, alla verosimile fondatezza dell’impugnazione, e, dall’altro, ad aspetti riconducibili al concetto di periculum in mora, e cioè all’assenza ovvero presenza di un pregiudizio quale conseguenza della sospensione, o meno, dell’attività di liquidazione.Conseguentemente tale disamina non può non valere anche per il provvedimento pronunciato successivamente alla sentenza di revoca della dichiarazione di fallimento: una diversità di regime non è infatti giustificata dalla pronuncia di tale sentenza, giacché essa incide sulla valutazione del fumus boni iuris ma non su quella afferente il pregiudizio alle ragioni del fallito e dei creditori e le modalità del loro contemperamento.(Redazione)(Riproduzione riservata).